Montappone e “Il Cappellaio Pazzo”
“Iervicella”
Un primato mondiale
Quanti di voi si sono chiesti dove comprerà mai i suoi eccentrici “copricapo” la regina Elisabetta?
Il suo segno di riconoscimento è “Made in Italy” come la gran parte dei cappelli più famosi al mondo; molti di voi penseranno, sicuramente al nord, in qualche mega grigia azienda con più’ di 300 dipendenti e l’ora di pausa tra sigarette, cemento e “amianto”, e invece no!
La Capitale del Cappello è un piccolo centro dell’entroterra marchigiano, neppure 1.800 abitanti quasi cento produttori di cappelli tra cui 45 aziende e più’ di 50 meravigliosi artigiani.
Per capire di più’ di questo “bizzarro fenomeno economico” mi rivolgo al Presidente del consorzio Capeldoc Marche, che mi racconta una storia da cui avrebbe potuto prendere spunto Salvatores per uno dei suoi film; in un marchigiano italianizzato mi fa vivere, step by step, “la favola di un successo”; esordisce con la battuta <<ero povero”, il mio babbo coltivava una striscetta di terreno in cui “c’era di tutto” incluso il grano, si tagliava con la falce e raccoglievamo anche la “iervcella” in dialetto, una sorta di paglia, che lavoravamo dal vespro a notte fonda intrecciando cappelli>> anche lui ne intrecciava come tutta la sua famiglia e la mattina dopo partiva col papà verso Senigallia per vendere il risultato del loro duro lavoro
Prima a piedi, poi in bicicletta, spiga dopo spiga, porta dopo porta, intreccio dopo intreccio si comprò la sua “mitica Vespa” dando una grande “spinta” al suo business e dalla Fiat 500 in poi un crescendo di successi, prima 2 operai , poi tre, poi 4 fino ad avere un impero che esporta cappelli in tutto il mondo…
Ha scritto anche un libricino con la sua storia, gli chiedo perché non lo mette su internet, mi risponde <<cosa?Gliene regalerò uno a lei, lo do solo agli amici e ai clienti che vengono in azienda>> si è quasi risentito, alla mia domanda ha risposto perplesso; il bello di quest’angolo di Marche in cui il passato e il futuro si fondono è la genuinità delle persone, la semplicità di imprenditori che mi parlano delle regole più’ all’avanguardia dell’economia internazionale, che formano un consorzio per essere competitivi nelle esportazioni, che riescono e portare all’estero dal 50 all’ 80% della loro produzione e si scandalizzano se gli si chiede di pubblicare la loro storia sul web, perchè qui alla base ci sono i rapporti umani, convivono con il primato dei cappelli dalla fine del’ ottocento.
Mi viene in mente Forrest Gump, che conobbe Elvis Presley, John F. Kennedy, Lyndon B. Johnson, John Lennon, George Wallace e Richard Nixon, vinse i mondiali di Ping Pong, fu una stella del football non avendo neppure lontanamente idea di quanto quello che gli accadeva fosse eccezionale; in egual modo a Montappone quello che a me sembra incredibile è del tutto normale; che qui’ si rifornisca la disney, warner bros, nike, i sovrani o i più famosi personaggi del jet set mondiale non stupisce nessuno, è la loro normalità, la quotidianità che vivono da sempre, ma che una storia fatta di emozioni, di vita, di fatica e di sacrifici venga “utilizzata” nel web quasi scandalizza.
Rapita dal suo racconto mi ero dimenticata la natura del mio articolo, la prima domanda che mi viene in mente, ma che quasi temo fare per non distruggere l’atmosfera surreale che “questa favola moderna” mi ha regalato, è sulla crisi e come loro la stiano vivendo, Serafino con una grande dignità e rigore, cambiando tono e lasciando da parte il dialetto che aveva reso ancora più’ piacevole la nostra amichevole chiacchierata, mi risponde che “si sente e tanto, che però loro amano il loro lavoro, vivono per quello, si sono consorziati proprio per essere pronti ad affrontare qualsiasi problema o sventura anche se quella che sta vivendo l’Italia è una catastrofe”.
Sono pronti a tutto gli imprenditori e gli artigiani di “questa straordinaria” terra pur di tutelare il loro lavoro e gli amati dipendenti “di questa grande famiglia con tanto di cappello”, puntano sull’estero , << perché all’estero pagano>> in Italia arrivano ad avere l’80%& dei crediti non onorati, produrre per vendere in Italia per loro vorrebbe forse dire “morire” e il loro ingegno, il loro saper vivere li porta a cercare ogni soluzione per ottimizzare le esportazioni e rendere sempre più’ noto, visibile e appetibile il loro distretto, hanno fatto nascere così:
la festa del “Cappello Pazzo” (3 giorni di eventi e proposte che attirano una moltitudine di stranieri) e il “Museo del cappello (custodisce materiali e manufatti relativi alla produzione del cappello)
Che primato per un piccolo paese nascosto tra i Monti Sibillini e il Conero, che con Falerone, Massa Fermana e Monte Vidon Corrado ci fa scoprire una nuova geografia produttiva, la più cliccata “google map delle materie prime”, questa favola moderna ci fa rivivere atmosfere di un passato orma quasi dimenticato fatto di antichissime macchine per cucire manovrate da nonnine canute con la stessa immediatezza con nanno la pasta di casa.
Un’overdose di cappelli e cappellifici con un sindaco cappellaio e bocconiano, Giuseppe Mochi, un parroco che saluta e omaggia sorridente mostrando il suo fedele cappello di feltro nero, il medico che fa visita con la coppola e una mostra permanente che prendendo spunto da Lewis Carroll consacrata al “cappellaio pazzo”.
Un insolito viaggio attraverso cappelli indossati da personaggi internazionali lontanissimi, nel Ns immaginario, da una scenografia tanto agreste e vicinissimi alle grandi metropoli, da Johnny Depp, Daniel Day Lewis, dalla regina Elisabetta a Blake Lively da Mena Suvari a Naomi Watts, da Cameron Diaz a Brigitte Bardot da Richard Burton a Brad Pitt..per arrivare ai nostri mostri sacri
Federico Fellini, Vittorio Gassman, Massimo Troisi, Silvana Mangano, Alberto Sordi, e tanti, tanti altri
Anche il noto New York Times racconta “Montappone e i suoi cappelli”.
<<L’importante distretto, punto di riferimento internazionale della produzione di cappelli e sede del celebre evento “Il Cappello di Paglia”, è stato oggetto di una lunga recensione a firma dell’inviato Christopher Petkanas, nell’edizione domenicale (25 marzo 2007) del prestigioso quotidiano.
“Se siete proprio interessati ai copricapo, Montappone dovrebbe allora trovarsi nel vostro elenco!”
“I cappelli – prosegue l’inviato del NYT – sono la grande norma della moda, un antidoto rassicurante alle ridicolaggini volgari delle stelline smutandate ed un eco attutito di un tempo in cui le signore erano Signore>>
Cilindrio, bombetta, basco, berretta, boogie hat, borsellino,cappello da baseball, cappello da cowboy, cappello di paglia,cappello frigio, colbacco, chullo, cloche, coppola, panama, kippah,paglietta, papalina,pileo, por pie, trilby, tuba, zucchetto.. i cappelli erano, sono e saranno ispirazione per artisti, registi, stilisti e tutta l'”Italia” del fare”, nel loro significato intrinseco che va al di là del semplice accessorio.
Parlando con Serafino Tirabassi mi è venuta una gran voglia di passare una settimana a Montappone e non solo per capirne di più’ di cappelli.
Cosa dire a questa realtà “di casa nostra” che tiene alto il nome dell’Italia, culla europea della produzione di cappelli, che produce il 70% del prodotto destinato al mercato nazionale, che esporta i propri manufatti in molti paesi, Francia, Germania, Giappone, Stati Uniti d’America, Russia, che da occupazione a circa 1500 addetti con un fatturato annuo che si aggira sui 170 milioni di euro…
” Chapeaux!”
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